Cosa vuol dire essere padri oggi
(e come riuscire ad avere relazioni sane con i figli)
Cosa vuol dire essere padri, oggi? Che evoluzione ha avuto il ruolo paterno, rispetto al passato? Cosa può fare un genitore per aiutare i propri figli?
Fino al secolo scorso, l’accudimento dei figli era riservato alla madre e il ruolo educativo del padre si riduceva a imposizioni, comandi e punizioni messi in atto in poco tempo e senza pensare alle conseguenze di questo tipo di educazione.
Senza andare troppo lontano tutti noi, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti dire da nostra madre: “Quando stasera arriverà papà e glielo dirò, vedrai!”, aprendo nella nostra mente tutta una serie di prospettive che conoscevamo bene: papà arriva, la mamma si sfoga, lui inizia a urlare, a minacciare, a dare punizioni.
Del papà, molti di noi avevano paura. Era una figura ambigua, che amavamo ma di cui avevamo timore.
Oggi, il ruolo paterno è cambiato. Abbiamo cominciato a interrogarci sulla validità di quel tipo di educazione, sui rischi che può arrecare alla serenità dei nostri figli. L’accessibilità e la varietà dell’informazione ci dà modo di conoscere, di sapere e di riflettere. Si va sempre più verso una disciplina positiva, attenta ai reali bisogni dei nostri figli e a utilizzare metodi molto più dolci rispetto alla pedagogia nera che ha caratterizzato il passato.
Autoritarismo e autorevolezza
Il ruolo paterno è sempre meno autoritario. I genitori si sforzano di sostituire l’autoritarismo con l’autorevolezza, che è cosa ben diversa. Essere autoritari vuol dire impedire con fermezza, utilizzando anche la forza. Essere autorevoli, invece, significa riconoscere nei nostri figli delle competenze e basare la relazione sulla fiducia, permettendoci di raggiungere obiettivi educazionali senza l’uso della violenza e senza entrare in conflitti.
La ricerca è sempre più conforme nel sostenere che la presenza e la vicinanza del padre hanno un ruolo determinante nello sviluppo del bambino. Insieme alla madre, il padre oggi è sempre più presente e attivo.
I rischi del permissivismo e della presenza soffocante
C’è però spesso un limite interpretativo nella definizione di autorevolezza che, nella nostra società, viene oltrepassato e che si orienta verso il permissivismo.
Quando un genitore diventa permissivo, il figlio può arrivare a credere che tutto sia lecito e dovuto. Si sente senza regole, fondamentali per la sua crescita, e l’atteggiamento del genitore, che crede di stare facendo del bene a suo figlio, in realtà ne sta causando dei danni.
I padri di oggi rischiano quindi spesso di passare da un eccesso all’altro: dall’autoritarismo al permissivismo, caratterizzato da eccessi di cura, di ansia e di preoccupazione.
I figli, d’altro canto, si sentono caricati di responsabilità che a volte sono troppo grandi per la loro età.
Per esempio: dire a un bambino di 5 anni: “Adesso decidiamo se andare al parco oppure in ludoteca” (atteggiamento autorevole) è diverso dal chiedergli: “Cosa vuoi che facciamo, oggi?” (atteggiamento permissivista). Nel primo caso il padre offre due possibilità al bambino, che così si sente competente di scegliere. Nel secondo, il bambino è messo nella condizione di dovere affrontare una scelta che probabilmente non riesce a fare e nella quale vorrebbe essere aiutato.
La permissività è spesso avvertita dai figli come noncuranza: “Lasci fare a me perché non hai voglia o tempo di seguirmi, consigliarmi, aiutarmi…” e questa sensazione porterà a numerosi problemi in età più adulta, soprattutto durante la fase adolescenziale, come obesità, disturbi dell’attenzione, difficoltà relazionali, enuresi.
I padri “amici”
Forse perché provenienti da un tipo di pedagogia nera, molti padri di oggi estremizzano il concetto di disciplina positiva, arrivando a desiderare con i propri figli un rapporto d’amicizia.
In questo modo, però, il ruolo paterno perde d’efficacia e al figlio viene tolto il bisogno di contenimento e di argine che è basilare per la sua crescita.
Un giorno venne da me un genitore – lo chiamerò Luca – che aveva un problema con il figlio undicenne. Il ragazzino aveva un pessimo rendimento scolastico e manifestava un’insofferenza esagerata verso la scuola e lo studio.
La richiesta di Luca era quella di fare seguire suo figlio da me. Essendo io restìo a fare iniziare un percorso terapico a un bambino in fase evolutiva per tutti i rischi connessi, in primis quello molto forte che inizi a considerarsi “sbagliato”, con tutte le sue conseguenze, ho chiesto al padre di collaborare per intervenire nella situazione tramite il suo aiuto.
Approfondendo, scoprimmo che Luca, fin dall’inizio, si era occupato di seguire il figlio nello studio, facendolo però in un modo ossessivo. Luca era sempre accanto a lui quando doveva svolgere i compiti, supervisionando tutto: lo controllava, lo ammoniva, faceva spesso i compiti al suo posto dicendosi spesso che ne era incapace, sottolineando il suo cattivo metodo di studio e il suo rendimento.
Appurato ciò, ho chiesto a Luca di mettersi da parte per un periodo, lasciando gestire la situazione alla moglie, alla quale chiesi di lasciare svolgere i compiti al figlio da solo, permettendogli di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti.
Questo nuovo modo di intervento ha permesso al figlio di staccarsi dalla figura soffocante del padre che, in un desiderio eccessivo di seguire il figlio, non aveva compreso il suo malessere.
Nel giro di qualche mese, il ragazzino era riuscito a trovare il metodo di studio adatto a sé e si era responsabilizzato, raggiungendo un soddisfacente rendimento scolastico.
Questo per dire che mantenere una giusta distanza dai figli, restare nel campo dell’autorevolezza senza entrare in quelli della presenza eccessiva e soffocante e del permissivismo, in un desiderio estremo di essere “amici dei nostri figli, è essenziale per la loro serenità.
Quindi, padri, continuate nel lavoro che state facendo su voi stessi ma tenete sempre presente che le regole e una giusta distanza fanno bene sia a voi che ai vostri figli.
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